La casa bomboniera
Da ragazzo ho sempre odiato le case bomboniere, quelle in cui ogni cosa era al proprio posto, tutto era in ordine, non c’era un filo di polvere sulle mensole, e nell’aria si diffondeva un nauseabondo odore di una qualche pianta esotica che il marketing riusciva a vendere come miracolosa, ma che in realtà puzzava come i fiori su una tomba al cimitero.
Le ho sempre odiate perché non sono cresciuto così, con la casa sempre impeccabile, l’arredamento curato nei minimi dettagli, le pareti limpide ed i vetri delle finestre trasparenti. Macché, in casa mia, in ogni stanza, c’erano almeno un paio di mobili che non si abbinavano a nulla nemmeno a voler essere eclettici, residui del passato, prodotti acquistati in un secondo momento per sopperire ad una necessità specifica, oppure adattati a svolgere uno scopo differente rispetto a quello originario, tipo il mobile dispensa che diventava scarpiera.
No, io sono cresciuto in una casa vissuta, nella quale noi fratelli potevamo giocare alla guerra delle pantofole, che irrimediabilmente lasciavano segni sulle pareti e, spesso, sui nostri volti, a pallone, a tennis (usando le pantofole di cui sopra come racchette), potevamo far sfrecciare le macchinine a pedali lungo i corridoi, con tanto di sgommate sulle piastrelle, usare le pentole come batteria, ed essere felici.
Sì, perché per me la casa bomboniera era l’emblema della tristezza, della noia, del “vorrei ma non posso”, perché altrimenti “mamma ci sgrida” e “papà si arrabbia”.
Certo, anche noi a fine giornata, quando sapevamo che papà stava per rientrare, dovevamo mettere tutto in ordine, ma era pur sempre l’ordine di un bambino, quello delle macchinine infilate in una scatola alla rinfusa, o dei pezzetti di lego tutti mischiati, che la struttura originaria non avresti mai più potuta ricrearla. Che poi, chi se ne fregava di seguire l’immagine sulla confezione, la cosa bella delle costruzioni era, appunto, costruire, seguendo il proprio flusso creativo.
Nella casa bomboniera non potevi fare lo spuntino di mezzanotte davanti alla tv, e mangiare cracker con tonno e Philadelphia, non potevi addormentarti sul divano del salone (non sia mai!), non potevi accendere lo stereo nella camera da letto a tutto volume per poter ascoltare la musica in bagno mentre ti facevi la doccia, perché lì non avevi una radiolina funzionante, ma non potevi nemmeno aiutare tua mamma a pulire i fagiolini nella stanza pranzo, perché la mamma della casa bomboniera l’avrebbe fatto in solitudine, direttamente nel lavandino della cucina, per non creare confusione e perché, attenzione, ogni stanza ha la propria destinazione d’uso.
Nella casa bomboniera non c’era il secondo cassetto della cucina, quello nel quale si infilava tutto ciò che avrebbe o non avrebbe potuto servire a qualcuno, ma che per qualche regola non scritta finiva lì, insieme ad elastici rinsecchiti, tappi ermetici, strani attrezzi, batterie scadute e vecchi libretti di istruzione di elettrodomestici che manco esistevano più.
In queste case, i figli non potevano guardare la tv nel soggiorno, perché avevano la propria Tv in cameretta, con la console collegata ed una quantità spropositata di cuscini e peluche sui letti, che svolgevano una funzione ben precisa: ricordare loro che non potevano, per nessuna ragione al mondo, salirci sopra, se non per andare a dormire la sera, ovviamente con il pigiamino pulito.
Nelle case bomboniere non c’erano i flaconi di shampoo vuoti nella doccia, i profumi rimasti ormai senza tappi, inghiottiti da misteriosi wormhole, le lamette ormai un po’ arrugginite, che nessuno usava più, ma che tutti si guardavano bene dal gettare nella spazzatura. Non c’erano le riviste poggiate sul davanzale del bagno, perché dotate di un apposito portariviste in rattan o in vimini.
Non potevi certo trovare il VHS lasciato nel videoregistratore, con la custodia appoggiata alla più vicina superficie orizzontale (ma anche obliqua, all’occorrenza), né tantomeno i cuscini sulle sedie della cucina penzolanti, con i laccetti sciolti e/o stracciati.
Non avresti mai potuto assistere tuo padre mentre montava un qualsiasi mobiletto utilizzando delle forbici al posto di un regolare cacciavite, perché nessuno riusciva a ricordarsi dove lo aveva lasciato la volta precedente, magari mesi prima.
Non avresti mai potuto mangiare una mozzarella appena comprata, freschissima, di ritorno dal supermercato il sabato mattina, direttamente con le mani, perché altrimenti ti si spezzava l’appetito, ma soprattutto perché “solo le bestie mangiano con le mani”.
Per non parlare del camminare scalzi in estate, pura eresia.
Nonostante non sia cresciuto in una casa bomboniera, non sono diventato un selvaggio, o un maleducato, e lo stesso posso dire di mio fratello e delle mie sorelle. Anzi, siamo tutto sommato delle persone a modo, perbene, con tanti ricordi belli di un’infanzia leggera e spensierata.
Oggi, che ho quasi quarant’anni e tre figli, quelle vecchie case bomboniere le odio ancora di più.